
Biografia
Chiaro di luna
La pittura di Paolo è essenzialmente la rivelazione dell'artista, inteso come individuo: la tecnica che utilizza è, infatti, aderente ai suoi tratti caratteriali. Un disegno sempre eseguito velocemente, senza secondi fini, composto da poche linee essenziali, rinunciando volutamente alle ombre o al chiaroscuro e utilizzando la prospettiva solo quando strettamente necessario. I colori, poi, non prendono mai il sopravvento e il loro utilizzo è sempre discreto e di classe.
I soggetti rappresentati, al contrario, sono misteriosi, complessi e difficili da decifrare, ma come è giusto che siano: nascono, infatti, dalla mescolanza di esperienze di vita, da frammenti di sogni mai finiti, dalle pulsioni complessissime di tutti vita quotidiana, anche quella più banale. E allora dobbiamo guardare il dipinto di Paolo, fermarci davanti alle sue tele e abbandonarci alla prima e immediata emozione, approfittarne senza fare alcuno sforzo per andare oltre: perché poi, lì dentro, anche se non è immediatamente riconoscibile , siamo tutti noi.
Antonio Agostini
“…Camaeti è un pittore difficile nel senso che è esigente con se stesso e allo stesso tempo molto semplice nelle sue espressioni. Se è attento quando parla di sé, è troppo attento quando parla della sua produzione. E ha ragione: l'opera d'arte non ha bisogno di spiegazioni. È esplicito. Ma le figure complesse, i colori violenti o le apparizioni ancestrali di Camaeti richiedono più attenzione, più riflessione. A prima vista può sembrare un dipinto astratto, surreale o addirittura informale. Si tratta invece, attentamente dosata, di una pittura realistica, figurativa, che, utilizzando la simbologia dei segni e la vivida immediatezza visiva del colore, parla dell'uomo e delle sue "visioni" Queste sono figure umanoidi o lastre di materiale che mostrano forme interpretative. del mondo di oggi ancora in evoluzione emotiva. La modernità di Camaeti sta proprio nel saperne cogliere gli angoli e le situazioni più nascoste e significative, come un nuovo Gauguin."
Davide Argani,
organico
Paolo nasce a Cesena (Romagna) nel 1950 e fin da bambino sviluppa una sincera attrazione per la pittura. Infatti, mentre trascorreva ore nella vetreria di famiglia, osservava i maestri artigiani disegnare e decorare a mano il vetro. Vetro e colore diventano quindi subito un binomio inscindibile, due passioni che lo guideranno lungo la sua maturità artistica e professionale: di giorno direttore di vetreria, di notte pittore. Fin da bambino disegna costantemente e sperimenta da autodidatta colori ad olio, gessetti e carboncini, distinguendosi a soli 14 anni anche all'interno del collegio frequentato, nel quale vince il primo premio per il dipinto Villa Fietta. concorso a Crespano del Grappa (Treviso) nel 1964. Successivamente, accompagnato dallo scultore e pittore Ilario Fioravanti, partecipa ad un concorso per entrare al liceo artistico di Firenze, ma era l'autunno del 1966, l'anno della terribile alluvione, e venne cancellato: il destino sembrava avere altri piani per lui.
Iniziò presto e giovanissimo a lavorare a tempo pieno nell'azienda di famiglia, continuando a dipingere anche di notte. Divenne però sempre più insoddisfatto, arrivando a distruggere quasi tutte le sue opere, fino alla fine degli anni '70 quando scoprì i colori acrilici e iniziò a dipingere su legno. Per Paolo è stato uno shock la scoperta dell'acrilico, attraverso il quale è riuscito a definire se stesso in un intimo dialogo tra colori e forme: uno stile del tutto personale che lo accompagna ancora oggi, anche se è sempre in continua evoluzione.
Gli anni '80 sono gli anni delle sue prime mostre personali: a Cesena nel 1982 e 1984, a Milano nel 1985 e 1988, a Meldola (Romagna) nel 1988 e 1992, fino alle più recenti mostre del 2009 a Cesena e Forte dei Marmi (Toscana). ) Vive e dipinge nel suo studio a Cesena.
Nella vastità dello spazio
".. Nell'arco di tre decenni, la pittura di Camaeti evolse in tecnica e maturità e non cedette mai buchi di tensione o frammenti di fatica. Conobbe pause di silenzio e di attesa, ma sempre rilanciandosi con un immutato, anzi rinvigorito, ardore Mai un declino, d'inerzia o di compiacimento, mai la retorica della libera ripetizione né l'appuntamento poetico. In un momento la solitudine era drammatica, acuta nella tensione, nel grido senza voce, nell'immensità dello spazio A poco a poco si avverte un sentimento di solidarietà consolidato, diverso nella condizione, nella condivisione e non nell'obbligo Una visione solitaria ma non isolata Una voce libera ma non emarginata.
Un autoritratto di rilettura e introspezione dove toni pacati o pacati portano l'essere a dialogare con la luna, a vivere la conversazione senza più e solo gridando insofferenza. Figure che abitano lo spazio, solari ma forti nell'equilibrio, capaci di occupare il vuoto, di scrutare il cielo e il buio. Figure nell'immensità siderale, oltre il luogo, oltre la storia. E d'altra parte, come un parallelo spontaneo, luoghi come le fiabe, labirinti improbabili, scale che atterrano e lune che volano via. Luoghi dell'immaginazione, dove l'assenza di vita emana la suggestione della presenza. Come sedimentazione di una traccia, di un'attesa, di un'imminenza. Come una scena che presto accoglierà l'attore. Lo spazio vuoto viene percepito come abitato da una coscienza, anima o essere vivente, che deve apparire poco dopo, perché appartiene al luogo. Le architetture mirano a confondere esterno e interno, chissà quando usciamo e quando entriamo. La soglia è certa, questi sono i due fronti, come la linea di demarcazione della ragione, il lecito e l'aldilà, la luce e l'oscurità. Sono favole proiettate nella memoria, il castello delle fiabe, il sogno perduto, la luna alla finestra. Procedono dall'infanzia al realismo del vero ma sono generosamente complici di un'illusione che sa ancora catturare e riportare con gentilezza il miraggio dell'inconscio.
Questo, nella pittura di Paolo Camaeti, è un altro momento culminante, affascinante quanto la favola, capace di condurci, consapevoli della realtà, ad una proiezione onirica e accogliente dove possiamo rimanere convinti del fatto illusorio ma consenziente. Prende così vita un dialogo intenso, addirittura interattivo, tra l'osservatore e il dipinto, come se fossimo chiamati in questa fase in prima persona, come se fossimo l'oggetto assenza-presenza di tanta attesa e di questa infanzia, di atmosfera , colori e ricordi, era il nostro segreto. La suggestione si traduce in evocazione, richiama, risveglia, sfiora tocchi sottili nascosti dal tempo, risuona e ravviva..."
Claudio Rizzi