Lourenço non racconta storie ma fa appello a stati spirituali. I suoi protagonisti onnipresenti, a volte comodamente seduti sui divani, a volte in bicicletta, rivelano una certa pienezza. È la pienezza quotidiana di chi vive il presente, il qui ed ora. Guardandoli, non abbiamo bisogno di chiederci chi è la ragazza che ci guarda, spensierata. Sappiamo che è il nostro interno. Come molti elementi ripetuti nell'opera di Lourenço, il volto della ragazza è il risultato di una lenta distillazione. E non mi riferisco solo all'evoluzione del lavoro di questo artista, ma alla storia dell'arte contemporanea.
Come scrisse Newton: “Se ho visto più lontano, è sedendomi sulle spalle dei giganti”. Il volto della “figlia di Lourenço” nasce dal cubismo sintetico di Picasso; il modo in cui usa il colore (guarda quel Tiziano Scarlatto!) ha tutta la gioia di vivere e la filosofia di un Matisse filtrata attraverso un David Hockney. Il suo straordinario senso compositivo, con le figure leggermente spostate a destra, è ereditato dal suprematismo di Malevich, il tocco felino da Balthus, la profondità di campo da Cézanne - il primo pittore a rifiutare l'artificio della prospettiva e ad adattare alla bidimensionalità della tela. Potremmo continuare a descrivere il DNA artistico di chi, come tutti gli artisti, non è nato dal nulla. Ma la cosa più interessante sono gli elementi che lo rendono unico e universale. Guarda le sue folle urbane: persone che vanno e vengono senza guardarsi; alcuni a piedi, altri in bicicletta, qualche dogwalker. Sono figure geometriche, impersonali, ognuna per sé... ma nonostante ciò è un lavoro conviviale. Poter andare in giro per la città facendo le proprie cose, senza preoccuparsi della sorveglianza degli altri (cosa che accade in alcune piccole città e villaggi) è un atto di libertà.
Di fatto, tutte le democrazie moderne basano la libertà sul diritto alla privacy. E c'è un altro dettaglio non casuale: in alcune di queste folle vediamo “la figlia di Lourenço” in bicicletta, e lei ci guarda. È una risorsa utilizzata dagli artisti del Rinascimento italiano per stabilire una connessione con lo spettatore. Senza dubbio ti chiederai cosa c'è di così privato e personale nell'andare in bicicletta? Lourenço può rispondere: “Se guardo il mondo mentre cammino, tutto è troppo lento e noioso. Quando sono in macchina, non riesco a godermi il panorama. Per me la velocità ideale è quando sei in bicicletta”. Cerco di definire le sensazioni che l'opera di Lourenço suscita in me, e mi vengono in mente solo le parole di Pepín Bello, grande amico di Federico García Lorca: “Quando Federico parlava, non diceva né caldo né freddo, era Federico. Questa è la cosa più vicina.
- Ricard Mas, membro dell'Associazione Internazionale dei Critici d'Arte
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