Seungho Jang

L'atto della vita nella pittura è diventato una ragione di esistere nel mondo.

Come artista, le mie preoccupazioni, in quanto essere umano che vive in questo Paese, sono l'isolamento. Una società che non è una società. Una società in cui tutti coloro che sono intrappolati in noi, non noi, vivono separatamente. La comunità è intrisa di conflitto e odio, e il processo di discussione sull'arte e sulla giustizia del mondo stesso è considerato macchinoso. Le persone sono impegnate a fotografarsi a vicenda come parte del capitale, davanti a uno spazio simile a un pollaio, disseminato di tracce di individualità, piuttosto che opere o merci stipate in uno spazio bianco e freddo. Non esiste da nessuna parte una cultura di riflessione e critica reciproca. Cosa significa esistere come artista e come essere umano in un'epoca in cui le anormalità diventano routine quotidiana? L'atto che disegno è una sorta di lotta di resistenza psicologica per sopravvivere nella struttura dell'anormalità.

L'astratto e la pittura sono diventati vita e quotidianità. Si sono affermati come modello e stile di vita. Mi sento come se fossi diventato un compagno e una famiglia. Ma da un lato, ho paura. Mi chiedo se ogni persona sarà un modo di vivere per la vita, e mi chiedo se questo si rifletta in superficie in questo modo. Voglio trovarlo. Da dove vengo e dove dovrei andare. Cosa significhi vivere il ruolo sociale degli artisti come artisti senza di noi in una società competitiva infinita subordinata al capitale, se sia possibile sognare un mondo utopico in essa, e se sia possibile creare un modernismo che definisca il confine di noi.