Marian Fountain presenta una serie sorprendente di sculture - bronzi - eseguite molto finemente nei loro più piccoli dettagli e angoli e fessure, sia nella modellatura dei suoi sogni e nell'incastro, sia nella fusione e poi nella finitura - patine, cere, colori...
Attingendo alle storie della sua terra natale, la Nuova Zelanda, e a culture diverse come le Cicladi, i Maya, i Khmer, il Medioevo... fonde le sue osservazioni alternative dell'esperienza umana con le caratteristiche suggerite del nostro mondo connesso.
Le sculture di Marian sono, letteralmente e figurativamente, bifronte: dietro le quinte rivela la profondità del significato del suo lavoro, come dittici inseparabili. Come ci connettiamo, connettiamo noi stessi senza legami più vecchi? Come non vedere nel suo “Cane mangia cane” o nel suo “Core” che il ciclo è sempre chiuso, che le forme che più sono costitutive di noi (ossa, piante, abbracci, desiderio, ecc.) restano permanenti nel tempo, anche quando questa tendenza tende alla smaterializzazione. Un osso di bronzo è pesante, immemorabile, animale, è imponente e tuttavia riesce a trasmettere una leggerezza del segno, del segnale, come un richiamo animista emesso verso galassie lontane e future.
Ciascuno dei pezzi di Marian è un racconto a sé, oppure un delirio acido, o entrambi. Impossibile non tornare indietro, lontani anni luce dalla nostra specie, quando, alla curva di una scultura, percepiamo un potente ammiccamento, come un Gepetto che ci riporta a un'innocenza (immaginata?) durante la nostra fuga futuristica. Amore, avventura, ecologia, ordine, piacere, politica, paura e gioco (importante, gioco!) sono tutti invitati in questo magnifico e generoso microcosmo offertoci da questo mondo umile e solido.
“Né inizio né fine”: la Fontana Mariana ci porta a fare un giro.
Leggi di più