GMM dipinge principalmente ritratti. Ritratti in serie, come quelli che registriamo quando dobbiamo farli scattare per adempiere agli obblighi di identificazione nazionale, cioè tutti simili, stesso punto di vista neutralizzato, sfondo spento o spento come un colore a tinta unita apatico, volto inerte e sguardo stupido ma tuttavia diverso da quello dei nostri coetanei, poiché lo scopo dell'operazione è registrare le nostre particolarità, le nostre singolarità, perfino le nostre stranezze.
Ovviamente GMM complica un po’ le cose, i ritratti che allinea non hanno nomi “propri”; si tratta infatti di una teoria di omuncoli bizzarri, più vicini all'indicibile che all'identificabile, una specie di specie sgradevole, un surrogato dell'umanità, vicino a un equivoco prurito.
[...]
A ben guardare, al risultato si aggiungono alcuni indizi: fluttua sapientemente tra la citazione di ritratti tanto classici quanto venerabili che riponiamo nei nostri scaffali di storia dell'arte un po' barocchi, addobbati in un fumetto dall'aspetto pazzesco come quelli commessi dagli strampalati californiani che bevevano volentieri le sostanze vagamente proibite di Peace and Love degli anni '70.
Tra Velazquez e Crumb, cosa. Ma per spingere oltre il nodo gordiano delle origini, siamo d'accordo nel riconoscere che siamo vicini a un'estetica molto "cattiva pittura", questa fioritura distruttiva che decorava di superlativi voyeuristici i ruggiti punk dei collaudati inizi del postmoderno. Uff! Il GMM rivendica tutto questo quando precisa che le sue intenzioni prioritarie restano quelle di "mostrare l'angoscia che provano le persone, sempre più apatiche di fronte ad un ambiente saturo di media e di immagini che eliminano ogni pensiero critico" e che cerca di combattere "decostruendo i grovigli dell’attuale mondo culturale a causa del pregiudizio di annaspare in dati che sono in gran parte contaminati ma la cui tossicità può agire come terapia”. In altre parole, più si confonde l’apparenza del banale, più si punta il dito sul peggio di cui bisogna sbarazzarsi.
In questo non ha torto, da tempo è alla base di tutte le inclinazioni anticonformiste o, per restare in campo artistico, dell'opposizione tra “buono” e “cattivo”. Resta il paradosso che spesso confondiamo “cattivo” e “brutto”, vale a dire che è “cattivo” quando il risultato è “brutto” e che può essere condannato a critiche tanto diverse quanto corrotte. Senza troppe sorprese, il GMM ammette il suo appetito per gli ultimi quadri grondanti di De Chirico e per il “periodo della mucca” di Magritte, - anche se c'è da chiedersi se quest'ultimo, così facendo, non confermi un amore per gli stessi natura per il dipinto che sembrava maltrattare - quando non si tratta di alcuni dipinti disgustosi di una Dalì andropausa in cui viene mostrata inerte...
Perché in fin dei conti, e se si guarda da vicino, è “brutto” solo se è molto ben fatto, padroneggiato, tecnicamente mozzafiato, paragonabile o sfidante ai codici e ai criteri di ciò che a priori approva la bellezza autoritaria del “. buono”, il “cattivo” vaga in altri apprezzamenti dove la moralità spesso alza la sua brutta testa.
Leggi di più