Isabelle Lamrani
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Isabelle Lamrani

Francia • 1965

Biografia

“Ancora una volta mi sono sentito come un bambino che gioca a nascondino e non sa cosa teme o desidera di più: restare nascosto, farsi scoprire”. G. Perec, W o ricordi d'infanzia Si parla in inglese di “ghost-writer” per designare il “negro”, colui che scrive per un altro. Quello che non firma. Colui che preferisce non aver fatto ufficialmente nulla agli occhi del mondo. È un lavoro. Una pratica conosciuta, legale, anche se tradizionalmente segreta. Il negro lascia i riflettori. Si sta nascondendo. Tutto in lui è un gioco di maschere, un gioco di parole, un gioco di ruoli, e se a volte si lamenta della sua modestia, è nel segreto del modesto ufficio dove riposano le sue opere complete, autografate da un altro. C'è qualcosa del negro, del fantasma, nei lavori recenti di Isabelle Lamrani. Ma di un negro che sarebbe negro solo di se stesso. Di un ghostwriter immaginario, o di una nevrosi. C'è chi dipinge. C'è chi firma. Ed entrambi sembrano mantenere sulla tela rapporti complessi, spesso contrastanti, sempre eminentemente ambigui, che sembrano nutrire ogni dipinto di un'esitazione esistenziale. Fai, ma fai finta di non aver fatto nulla; nascondere, ma mostrare che si nasconde; non spiegare nulla, per non farsi capire; parlare, soprattutto se non sai esattamente cosa stai dicendo; dinamiche paradossali in atto nell'opera, come tante questioni mai risolte e che, di tela in tela, ne assicurano tuttavia l'incontestabile coerenza. La scelta dell’astrazione è al centro di questa coerenza. L'opera astratta, rendendo obsoleto il riconoscimento di un possibile motivo, costringe lo sguardo a considerare solo la materialità dell'opera, la sua superficie, la sua pelle. Rinunciando alla figurazione, rinuncia anche ai consueti strumenti dell'illusione pittorica: linea, colore e prospettiva. Quindi questo lascia bianco e nero. Quasi bianco. Quasi nero. Spesso un po' di nero in molto bianco. A volte il nero mescolato al bianco o viceversa. Non più. Ciò che resta sono forme, tracce, impronte, ombre, cancellature, sfocature. Nessuna cornice. Nessun titolo. Nessuna firma. L'artista dipinge tele spettrali come un fantasma. Logica. L'opera di Isabelle Lamrani è un'opera di poco, un'opera che stabilisce come qualità – in “valore” forse – l'economia dei mezzi. Ma così facendo riduce il quadro all’essenziale. Qui ogni tela è prima di tutto materia: materia opaca, satinata, opaca, granulosa, materia spessa o velo leggero, materia stesa, stesa, distesa, strofinata, raschiata o scavata. E la moltiplicazione delle modalità operative dimostra chiaramente il posto essenziale che il gesto occupa nell'opera. Il “gesto” – che è intenzione e che è movimento – è qui oggetto di sé stesso. Dipingere è fare. Fai qualcosa. Ci sarà sempre tempo dopo, dopo la tela, per chiedersi cosa. Che cosa ? La domanda merita di essere posta. Più precisamente, si impone Perché i dipinti di Isabelle Lamrani non sono privi di motivi. Presentano sempre una forma, indistinta, non evidente, ma visibile, e molto spesso al centro della tela. Non sono una di quelle opere radicali da cui la realtà verrebbe immediatamente e una volta per tutte assente. La realtà spesso si nasconde lì, così come si nasconde tra le nuvole finché siamo disposti a prenderci il tempo per riconoscerla. Diamo un'occhiata. Qui, un paesaggio che si estende lungo il mare. Altrove, il segno lasciato da un vetro umido su un tavolo da bistrot. Più lontano, lo squarcio ancora aperto di un coltello, oppure le labbra di una donna. Nessun motivo, ma resti, tracce, cicatrici, ipotesi. E, ovunque, l'impressione dell'usura, di una pittura che inscrive nel tempo i suoi strati e i suoi pigmenti. Come se quel poco che ancora vedevamo fosse sempre sul punto di deteriorarsi, di sgretolarsi, per sciogliersi presto completamente nel bianco. Nei dipinti di Isabelle Lamrani il materiale è una coperta. E lo è addirittura due volte. Innanzitutto perché “copre”, depositato sulla tela, e spesso sovrapposto ad altri spessori, finché non è più possibile sapere se il motivo è “davanti” o “dietro”… È anche, come si dice, diciamo di un travestimento. Lei protegge. Permette all'artista di restare in disparte, nascosto. La tela funge da schermo, come una finestra appannata dietro la quale Isabelle Lamrani sarebbe presente e invisibile, permettendo di percepire di se stessa solo il suo lavoro e il suo mistero. Non c'è civetteria in questo auto-cancellamento. Modestia, va bene. Ma soprattutto il desiderio di lasciare che la tela esista da sola, non come mezzo attraverso il quale possa passare un pensiero, ma come organismo autonomo, portatore di un proprio messaggio. L’approccio, tuttavia, non ha nulla di cerebrale. Lei è sempre sensuale, sensibile, fisica. Qui, sempre, la tela è un corpo. È spessore, grana, patina. E se l'opera tocca, è anche perché ti fa venir voglia di toccare. Si dice spesso che il lavoro di un artista sia lo specchio della sua personalità. È una banalità. Qui è addirittura una sciocchezza. Incontrando l'opera davanti all'artista, si immaginerebbe subito una donna tutta interiore, austera, silenziosa, che lavora di notte nella solitudine di un piccolo laboratorio... Incontrando l'artista davanti alla sua opera, il risultato non sarebbe migliore. Immagineremmo tele immense e colorate raffiguranti scene divertenti dove mille personaggi esuberanti intrecciano mille vite. In entrambi i casi sbaglieremmo. Di Lavoro. Oppure nessuno. A meno che qualcun altro, non ci torniamo, in lei, nel segreto di quella che dovremmo chiamare "intimità", è all'opera il suo fantasma, la sua negra. E che offre allo sguardo ogni suo dipinto come sussurrando all'orecchio un salutare invito a diffidare dell'ovvio. - Mathias Gavarry, Solenzara, agosto 2010
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