Taku Obata
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Taku Obata

Giappone • 1980

Biografia

Generalmente contrapponiamo l'arte della danza (che è un'arte del tempo) a quella della scultura (che è un'arte dello spazio). Che dire allora delle opere di Taku Obata, se non che mettono in crisi tale opposizione regalando alla più dinamica e sincretica di tutte le danze – la break dance – una serie di figure la cui tesa immobilità sembra contenere l'insieme di movimenti frenetici che l'ha trovato?

Come i veri samurai dei giorni nostri, che sfoggiano con stile i loro colorati ornamenti di guerra, le sculture di Obata non sono, infatti, solo la vibrante emanazione della cultura hip-hop, ma anche l'espressione delle sue radici miste: capoeira, kung fu, manga, Noh, Ma. In essi c'è tutto, incluso forse un discreto riferimento all'arte moderna e al cubismo di Duchamp nel suo famoso Nudo che scende le scale. Perché è proprio una scomposizione dinamica del movimento ciò che ci parlano le sculture breako-cubiste di Obata. Nato nel 1980 a Saitama, in Giappone, Taku Obata è un giovane artista che, fin da piccolo, si è interessato alla cultura americana e ai suoi sport popolari (baseball, basket, ecc.) poi, crescendo, alla sua musica hip- hop (con artisti come MC Hammer, Tu-Pac o Dance Koushien) e infine, attraverso suo fratello che per primo lo ha introdotto alla cultura b-boy. Affascinato dal movimento hip-hop nato nel Bronx a metà degli anni '70, Taku Obata apprende gradualmente questa pratica (sotto l'influenza della Rock Steady Crew) prima di formarsi, accompagnato da suo fratello e da un gruppo di amici, il suo gruppo di b-boys (e girls): gli Unity Selection (una crew ancora in attività, appunto, e composta da MC's, graffiti artist e ballerini).

Poi, parallelamente a questa pratica, Taku Obata iniziò ad interessarsi al mondo dei film d'animazione e molto rapidamente creò la sua prima opera in stop-motion utilizzando piccole figurine di argilla. Poi, da questi, gli è venuta l'idea di crearne altri, a misura d'uomo. Ma il vero stimolo che segnò l’inizio del suo lavoro, Obata lo ottenne – come il suo connazionale Haroshi – solo quando si dedicò alla scultura in legno e alle tecniche tradizionali giapponesi. Obata si è così dato i mezzi per cogliere, dalla cultura e dalle pratiche dei suoi antenati, la vibrazione che anima il suo corpo, così come quello dei suoi contemporanei. “Anche se sono giapponese”, confessa Obata, “la mia cultura rimane comunque quella dell'hip-hop e della break dance. Tuttavia, da b-boy giapponese, non potevo fare a meno di rappresentare la danza che amo utilizzando le tradizionali tecniche di intaglio del legno. »

Come nel teatro tradizionale giapponese Noh (o, più recentemente, Buto), i personaggi e le ambientazioni che Taku Obata inventa non intendono raccontare storie complicate ma, piuttosto, farci vedere, in una forma altamente stilizzata, l'energia , la velocità, l'eccesso che abita i b-boys e, con loro, l'eccesso che anima l'intera cultura dei graffiti e chi la vive a tutta velocità, come in trance. Sono questi, insomma, gli idoli dei baccanali odierni che Obata concepisce – figure di divinità gioiose e libere che sfidano le leggi della gravità – e della serietà. L'arte, con Obata e i b-boys, diventa giocosa. Egli non sfida, non esige, ma fa esistere, a modo suo, un piccolo pianeta di felicità: un pianeta fuori dal tempo e dai conflitti politici che lì si svolgono; un pianeta dove vivono buffi supereroi le cui pose ed espressioni facciali, al crocevia di diverse culture, potrebbero essere descritte come altrettante fantasmagorie emanate da una ballerina di Buto che cadde in estasi davanti alla velocità nervosa di “Good Foot” Brown di James e che, per non perdere il contatto con la propria cultura, decise di travestirsi da Bioman.

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