Anna Kevrel
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Anna Kevrel

Lettonia • 1984

Biografia

Anna Kevrel è una fotografa nata in Lettonia che vive e lavora a Mosca (Russia), specializzata in autoritratti. Ha iniziato nel 2014 scattandosi selfie con il cellulare, cosa che le ha poi permesso di creare un gran numero di immagini. L'autoritratto è per lei un modo per esprimere la sua grande creatività e le dà una libertà di espressione illimitata. Utilizzando questo strumento crea immagini dalle atmosfere strane, familiari, insolite o ironiche. In questo periodo progetta atmosfere, ma anche e soprattutto un'eccezionale diversità di rappresentazioni. Anna gioca poi sulla temporalità, sull'area geografica e sul genere nelle sue creazioni, è se stessa, nessuno e tutti allo stesso tempo. Attraverso queste diverse esplorazioni, si concentra sulla messa in discussione della personalità umana e su come ogni elemento che la circonda la metamorfosi. Esplora questa natura fluida dell'identità.

È stata sicuramente la sua fascinazione per gli esseri umani nonché il desiderio di creare personaggi e atmosfere a spingerla, l'anno successivo, ad interessarsi alla rappresentazione teatrale. Nel 2016 entra a far parte di una scuola di clown e pantomima che segnerà in modo permanente il suo modo di lavorare e la resa delle sue opere. Durante questi quattro anni, Anna ha imparato a creare personaggi grotteschi, a disegnare costumi e ad acquisire competenze di base nella scenografia.

Grazie a tutte le sue esperienze, spinge ancora più in là la sensibilità delle sue immagini. Compra una macchina fotografica digitale e decide di nascondere il viso dietro una maschera. Oltre ad essere un grande omaggio al teatro, per Anna indossare una maschera permette allo spettatore di concentrarsi sul soggetto attraverso l'assenza dei tratti del viso. La maschera spersonalizza e aspira ad essere più universale Il personaggio diventa allora una pagina bianca, un volto anonimizzato che permette un'identificazione più semplice e intuitiva per lo spettatore, quindi più capace di proiettarsi nell'opera per comprendere l'emozione e sentirla in modo più personale.

Oggi l'emozione è un punto centrale nel lavoro di Anna Kevrel. Per lei è il linguaggio universale per eccellenza, un messaggio che tutti un giorno hanno potuto sperimentare e sono in grado di sentire e comprendere, indipendentemente dall'origine, dall'istruzione, dalla nostra età, dal nostro sesso o da qualsiasi altro elemento.

Il suo senso di emozione legato alla sua acuta conoscenza della composizione e della tecnica fotografica, ci immerge in ambienti composti da scene suggestive che amplificano l'emozione del personaggio rappresentato. L'arredamento non è lì semplicemente per vestire l'immagine, ma partecipa attivamente alla creazione dell'emozione. Anna lavora solo con fotografie. L'artista mette in campo tutte le sue abilità nella creazione delle sue scenografie, in modo da limitare il suo intervento in post-produzione. È grazie alla sua abilità nell'illuminazione e nel colore che riesce a creare immagini vivaci e forti. L'illuminazione è molto importante nel suo lavoro perché è grazie ad essa che riesce a conferire alle sue opere una grande qualità decorativa oltre che colori molto chiari.

Le sue doti scenografiche e teatrali sono innegabili. Ci presenta posizioni espressive e sguardi che dicono tutto. A prima vista, il personaggio ci viene esposto, le sue emozioni ci vengono esposte, l'opportunità di confrontare lo spettatore con l'universalità delle emozioni umane. Questa espressività corporea è un'eredità della sua formazione di clown e mimo, entrambi personaggi soggetti alle emozioni e che devono esprimerle in modo quasi estremo per essere compresi, anche se ciò significa essere allo stesso tempo al limite del grottesco o ironico.

Per lei, gli esseri umani sono il soggetto migliore per esplorare i suoi temi preferiti di autoironia e autoriflessione. È grazie ai suoi personaggi immaginari, irreali, ma pieni di emozioni, che riesce a toccare il mondo di un'altra persona attraverso i suoi interessi, i suoi dubbi o i suoi stati d'animo. È sondando se stessa che spinge lo spettatore a porre domande sui propri sentimenti, una situazione che riecheggia il suo motto personale: “non smettere mai di esplorare te stesso”.

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