La terra che si squarcia, i suoi lati aperti vincolati da grate, il buco che si cementa, i pilastri che emergono e la massa compatta di un edificio che emerge dal vuoto.
È nei sussulti di un enorme cantiere che Elia Kleiber si impadronisce del suo soggetto, nella durezza di questo universo dove la macchina e la materia impongono le loro leggi, osserva l'esercito dei costruttori dell'ombra, operai, manovali, compagni di cui non parliamo. Lavorano nel cuore pulsante della globalizzazione. Coloro che a Roma o nell'antica Grecia venivano impiegati come schiavi o stranieri nella costruzione di edifici colossali.
L'artista ha cercato di catturare la precisione e l'economia dei gesti, la tensione dei corpi tesi sotto il carico, la sfida al vuoto, la potenza del movimento delle mani. (.../...) Le stesse prestazioni che furono quelle degli atleti celebrati ai Giochi di Delfi e analogamente, degli atleti di oggi. Eroi dello stadio, ma senza tifosi e senza medaglie, lontani, lontanissimi dalla furia mediatica, questi sono quelli che il pittore intravedeva ad ogni angolo del cantiere.
Elia Kleiber ritrae questa realtà in grandi episodi sulla tela grezza, in una collusione tra pittura e fotografia.
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