Denis Chetboune
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Denis Chetboune

Francia • 1955

Biografia

Nato nel 1955, Denis Chetboune è un autodidatta. L’infanzia nell’Africa Nera e i numerosi viaggi sviluppano la sua propensione a vagabondare, a scoprire cose girovagando: “Non chiedere mai a qualcuno che conosce la strada, rischi di non perderti”. Dai musei che frequenta, dai maestri che lo ispirano, impara essenzialmente a disimparare. I suoi molteplici vagabondaggi sollevarono in lui molti interrogativi sull'uomo e sul suo destino. Le sue sculture sono le sue risposte alle sue domande. Li ha creati in modo che interagiscano liberamente con lo spettatore. “Ho acceso una luce, e se ti attrae, sta a te scontrarti costantemente e costantemente, come queste falene. In ogni caso, la mattina presto morirai. Senza aver capito nulla. Perché non c’è niente da capire”. Denis Chetboune, pur lavorando con un materiale e una tecnica che consentono la duplicazione, molto spesso produce solo pezzi unici. Questo pregiudizio risiede nell'originalità del suo approccio, che non rispetta l'uso tradizionale delle creazioni in bronzo che consiste nel realizzare un gesso o un'argilla, quindi realizzare un calco. Da questa fusione si potrà poi creare una cera, dalla quale il laboratorio di fonderia produrrà un bronzo cosiddetto “a cera persa”. Se si perde la cera, la modellatura iniziale non avviene e quindi è possibile ripetere l'operazione. Di qui la possibile produzione di un certo numero di originali identici distinti dal loro numero di rango: multipli. Denis Chetboune lavora direttamente con la cera. Cortocircuita la fase di stampaggio ed evita così ogni possibilità di duplicazione. Le sue cere rappresentano elementi frammentari dell'insieme che costituiranno l'opera finale. Successivamente ammorbidisce questi ultimi in acqua per togliergli il tono e conferire loro un'atonia e un decadimento contraddittori, sia per la natura del materiale che costituisce il pezzo finale, sia per lo straordinario dinamismo che esprimerà. Al termine della fonderia inizia il lavoro di assemblaggio delle parti per formare l'insieme. I diversi pezzi vengono assemblati, riorganizzati e poi saldati insieme. Alcuni vengono cancellati perché non presentano un contributo positivo rispetto agli esigenti criteri dell'artista. La non rappresentazione di intere porzioni di corpi riduce la dimensione individuale di ogni elemento a favore della coesione e della dinamica complessiva. Vengono presi in considerazione solo i punti di appoggio e le linee descrittive del movimento complessivo. L'obliquità spesso molto accentuata delle “parti in movimento” suggerisce la subordinazione all'alta velocità, condizione obbligatoria per il mantenimento dell'equilibrio. L'opera sembra trasportata da uno slancio irresistibile la cui origine e destinazione dipende solo dall'immaginazione di chi la guarda. La discontinuità delle forme, dal canto suo, permette il passaggio dello sguardo e articola i diversi volumi in cui si evolve l'opera. L’artista ci permette così di vedere contemporaneamente lo spazio inscritto nell’opera, cioè delimitato dalla “pelle” dei personaggi o degli oggetti, lo spazio “esterno” in cui è inscritta, e il disturbo che, a causa della sua “spostamento”, il primo fa subire il secondo. E la rappresentazione della sua traiettoria si sovrappone così allo slancio portante iniziale. Premi e riconoscimenti 2010 - 1° premio per la scultura della Société Nationale des Beaux-Arts 2011 - Premio per la scultura della fondazione Taylor. 2° premio per la scultura degli allevamenti nazionali
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