Nei quindici dipinti presentati nella mostra L'Esperança dau Suquet (La speranza della cima) vediamo di tutto: un personaggio infiocchettato, un cono da costruzione come copricapo, fette di mortadella, una testa di conigli scuoiati, caviglie oversize stivali, scatole di scarpe per tutte le scarpe, griglie e staccionate, un gufo sfigurato e persino un cappello bomba di panna posto su un tavolo di legno. Difficile individuare a priori un motivo, un soggetto. “Dipingo ciò che si trova nello studio. » Tutto si interseca, si sovrappone in un bric-a-brac decisamente sorprendente, come i famosi “incontri casuali su un tavolo anatomico di una macchina da cucire e di un ombrello”.
Ma qui il caso non è affatto meccanico; la bellezza non è convulsa. Va vista piuttosto come un’impresa di demistificazione della pittura a partire dai suoi fondamenti, dalle sue origini: dalla caverna al Neo-Géo (Nez au Géo, 2016), passando per il palinsesto, l’illusione e l’autoderisione, come il autoritratti dell'artista in figure/modelli stereotipati. Le molteplici tecniche pittoriche che sviluppa, realizzate utilizzando pennelli degni di un dilettante, con setole sintetiche e rigide, gli permettono di iniettare una malcelata dose di nervosismo nelle sue composizioni. I giochi degli opposti esacerbano le illusioni dello sguardo, come Lo Trionf de la Pintura (Il trionfo della pittura), 2018, un dipinto di piccolo formato in cui l’artista contrappone un assemblaggio di tipo cubista a uno scovolino fatto di patatine fritte. muschio e una testa di cane dal ponte posteriore di un veicolo, il tutto in un'espressione dipinta di stupore. In Palhasso XII (The Clown XII), 2018, il naso di un clown - la cui etimologia germanica significa "zolla di terra" quanto "squilibrio" - integra il cuore di una montagna non ben definita, sospesa nello spazio. Il pittoresco e il banale convivono sullo stesso piano con il ricordo della grande pittura.
Questo attacco al buon gusto – che non significa necessariamente la produzione di cattivo gusto – dovrebbe essere inteso come una critica a tutte le convinzioni estetiche. Se i titoli delle sue opere sono talvolta scritti in nissart (lingua occitana) e spesso tradotti in inglese (lingua ormai universale) è proprio per lottare contro ogni tentativo di standardizzazione, a cominciare da quello del linguaggio. Tuttavia, questa assenza di stile assertivo - come sosteneva a suo tempo Martin Kippenberger - non impedisce in alcun modo il riconoscimento di un'estetica specifica di Lagalla. Burlesque è davvero a suo agio quest'arte di cadere, scivolare e rimbalzare, profondamente metafisica e critica nei confronti dei nostri modi di esistenza. Le sue opere funzionano per la maggior parte del tempo come vanità, ma vanità contemporanee. Sotto il frivolo, l'insignificante o l'illusorio si nasconde una concezione del mondo dall'ontologia piatta, che rivela universi sconnessi, come tutto ciò che ci circonda, come la vita reale.
Eric Mangion, 2018
Mostra in collaborazione con la galleria La Mauvaise Réputation, Bordeaux e Espace A VENDRE, Nizza.
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